Leonardo

Fascicolo 11


in "Alleati e nemici"
A. Aliotta - Leopardi esteta e degenerato.
recensione di Gian Falco (Giovanni Papini)
pp. 19-20


p. 19


p. 20



   Romualdo Gialli si dice «studioso di musiche» e ricercatore di unità, ed io ci credo perchè ho visto il suo nome più volte sulla copertina della Rivista musicale italiana e perchè vedo che egli si studia di metter le cose d'accordo anche quando non ci vorrebbero stare in buona maniera. Ma senza nessuna intenzione di offenderlo, mi sembra ch'egli sarebbe magnificamente adatto all'imitazione di Lucullo o al venerabile ufficio di Maitre d'Hotel. Voglio dire ch'egli riesce con garbo e gusto straordinario a offrire dei banchetti e ad organizzare delle piccole orgie intellettuali di estetica e di letteratura. Il suo ultimo libro ch'è intitolato l'Estetica negli scritti di G. Leopardi (Torino, Fratelli Bocca. 1904) è un saporoso pranzo fatto alle spese dello Zibaldone, con qualche contorno del Così parlò Zaratbustra, dell'Unico, dell'Opera e Dramma, dei Principii di Psicologia dello Spencer e dell'Estetica del Croce. Un pranzo squisito, non dico di no, e preparato e infiorato con una tal quale grazia stilistica che serve da orchestrina invisibile durante la mensa di Leopardi e C.ia. E bisogna confessare che le pietanze son buone, i cibi non troppo salati e che gli intingoli, per quanto un po' troppo mescolati, non sono sgradevoli al palato.
   Il Giani ha letto e ha letto bene ì sette volumi dei Pensieri di varia filosofia del nostro grande poeta, e di lì ha saputo estrarre e ordinare, tutto quello che di più significativo contengono in quanto ai fini e ai caratteri dell'arte.
   N'è venuto fuori un libro ch'è una antologia, ma, bisogna aggiungere subito, un'antologia con note. Infatti il Giani non vuol tenerci troppo soli, a tu per tu col Recatanese, e siccome oggi son di moda lo Stirner, il Niezsche, lo Spencer, il Wagner e il Croce, egli ce li presenta e ci fa vedere come essi abbiano in qualche luogo ripetuto delle idee ch'erano già negli appunti del Leopardi.
   L'idea di far comprendere ì passati attraverso i presenti, di rendere íl Leopardi scopenhaneriano e wagneriano per farcelo comprender meglio non è cattiva.
   Ho intenzione anzi di estenderla, e seguendo l'esempio cha il Mommsen e il Ferrero hanno dato per la storia romana, parlerò delle teorie evoluzioniste di Democrito e del contingentismo della scuola di Patanjali. Ma in tutto questo il Giani non appare e non si ode quasi mai la sua voce se non è per lodare, (il Graf, fra gli altri, gli deve aver fatto del gran bene) ed egli si limita nella sua modestia espositiva, al semplice annunzio dei nomi e dei titoli degli altri, nè più nè meno che un valletto d'anticamera. Lasciamolo dunque gridare i titoli e i nomi e passiamo nel salon ove conversano i padroni di casa.
   Io non son mai riuscito ad avere un'ammirazione troppo grande pel Leopardi poeta, ma ho sempre amato enormemente la sua prosa semplice, schietta, pura, gelida come una fonte di montagna. Ma veramente dall'Operette morali non potevo avere un amore eguale pel Leopardi pensatore. Mi sembrava ch'egli non fosse per nulla filosofo, e che gli mancasse un poco quello sguardo ampio e profondo, vasto e sottile insieme, che fa compiere le grandi esplorazioni speculative. La stampa dello Zibaldone, m'ha rivelate le attitudini filosofiche della mente Leopardiana, la quale giunse, soprattutto per certi problemi, a vedute e soluzioni non comuni ai suoi giorni e che son entrate solo ora nel dominio del pensiero.
   Questo volume del Giani, che tenta dare unità di sistema all'estetica del Leopardi, nè sarà una prova per quelli che non conoscessero tutti i Pensieri.
   La critica delle idee d'infinità, d'eterno, dello spirito, della materia, l'affermazione della relatività del bene e del bello, le teorie egoistiche, le confutazioni dell'innatismo estetico, del bello assoluto, dell'imitazione della natura, gli accenni a una teoria dell'arte considerata come produttrice d'immagini, la visione del contrasto tra ragione e natura, le idee sulla lirica come dominio del mito e dell' immaginazione, le teorie sulla musica come arte più profonda, come evocazione dell'ideale e del sogno, e finalmente l'esaltazione dell'io, riempiono di belli ed alti pensieri questo piccolo libro. L'anima superba, tormentosa e profonda del Leopardi vi si scopre a ogni pina, e, quale a poeta s'addice, mostra d'intuire innanzi quello che dopo apparirà resultato faticoso di meditazioni razionali. Così non abbiamo soltanto un grande creatore d'arte ma anche un grande meditatore sull'arte. La nostra paria non si arricchisce sol dei vivi ma anche dei morti.
   Ma non tutti sono così gentili corteggiatori come Romualdo Giani, nè si curano di mandare per il mondo, in migliore acconciatura e con buona compnia, i grandi passati. Il povero Leopardi ne sa qualcosa ed ancora risuonano nell'aere letterario le atroci amenità dei Patrizi e dei Sergi, affetti da lombrosite acuta con qualche complicazione di miopia congenita. Un'eco di quelle polemiche è il libro del Dr. RINALDO NAZZARI (La polemica leopardiana e G. Leopardi, — Roma, tipografia Op. Rom. 1903) il quale ha l'intento di preludere a una più vasta opera sulla questione del genio.
   Il Nazzari, per quanto non puro letterato ma anzi nutrito di scienza e filosofia, combatte le affermazioni del Sergi a proposito della famigerata amblioplia, dell'inadattabilità all'ambiente, e del pessimismo come fenomeno morboso. E veramente vorrei che lo combattesse anche più aspramente, perché il Sergi è una delle più usurpate e carpite fame che siano in Italia e nelle università italiane. Parolaio e superficiale, dogmatico e pretensioso, è uno di quelli, tra il basso positivismo, che dovremo liquidare al più presto.
   Ma il Nazzari, intanto, fa bene a protestare contro questa scienza volgare, grossolana e ingenua che pretende venire a spiegare l'arte e la filosofia «regioni dello spirito che nessun microscopio potrà mai illuminare, nessun coltello anatomico penetrare» (p. 72).
   Singolarmente importante è l'ultimo capitolo di questo libro ove si traccia brevemente lo sviluppo della filosofia leopardiana la quale è passata da un pessimismo derivato da Rousseau e messo d'accordo col cristianesimo a un relativismo simile a quello di Hume e a un pessimismo senza speranza alleato del materialismo enciclopedista,
   Non troppo nuova, come si vede, ma pur importante perché le idee più importanti non sono quelle del primo piano, ma le accessorie e le secondarie. Chi facesse quello che il Giani ha fatto solo per l'Estetica per tutte le altre forme della riflessione filosofica leopardiana darebbe all'Italia un gran filosofo di più. Non si può dire che non ce ne sia bisogno.


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